Tar Piemonte: i costi di riproduzione per l’accesso generalizzato non devono tradursi in una tassa extra ordinem
Con la pronuncia del 23 marzo 2021, n. 332, il Tar Piemonte dichiara l’illegittimità di un provvedimento di rigetto di una richiesta di accesso civico generalizzato, richiamando le circolari del Dipartimento della Funzione Pubblica a proposito del regime dei costi. La disciplina Foia prevede il principio di gratuità dell’accesso: è ammesso l’addebito dei soli costi di riproduzione, tra i quali non possono ricomprendersi le spese per il personale e quelle riferibili a servizi commerciali come l’I.V.A.
Ecco la storia
Un Comitato ha chiesto a una società in house l’ostensione – cumulativamente, a titolo di accesso procedimentale, accesso civico generalizzato e accesso ambientale – di una serie di dati relativi ai flussi veicolari su base oraria registrati nell’area urbana di Torino in un determinato lasso di tempo. La società ha ritenuto l’istanza inammissibile, data la inesistenza dei dati richiesti e l’assenza di un obbligo di elaborarli a richiesta.
A seguito dell’accoglimento del ricorso da parte del Tar Piemonte con pronuncia n. 720/2020 la società in house ha comunicato all’istante di essere disponibile a mettere a disposizione un DVD contenente i dati richiesti, previo pagamento di un importo superiore a 2 mila euro a copertura dei costi sostenuti per le attività di estrazione, così calcolati: 3 giorni uomo per un analista dati (euro 1.536,00 IVA esclusa) e 1 giorno uomo per un gestore servizi (euro 560,00 IVA esclusa).
L’istante ha nuovamente proposto ricorso al TAR Piemonte, lamentando, tra le altre cose, la violazione del principio della gratuità esplicitato all’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013, secondo cui “il rilascio di dati o documenti in formato elettronico o cartaceo è gratuito, salvo il rimborso del costo effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la riproduzione su supporti materiali” (disposizione peraltro richiamata esplicitamente dal Regolamento sull’accesso civico della società).
Nell’accogliere il ricorso, il Tar Piemonte ha, anzitutto, fatto proprio il chiarimento fornito nella Circolare n. 1/2019 del Ministro della pubblica amministrazione, secondo cui “possono essere addebitati solo i costi strettamente necessari per la riproduzione di dati e documenti richiesti, ad esclusione di qualsiasi altro onere a carico del cittadino. In particolare, il costo rimborsabile, corrispondente a quello “effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la riproduzione”, non include il costo per il personale impiegato nella trattazione delle richieste di accesso, essendo quest’ultimo un onere che, in linea di principio, grava sulla collettività che intenda dotarsi di un’amministrazione moderna e trasparente” (par. 4). Su questa base, constatato che i costi inerenti ad attività umane sono generalmente quelli di ricerca ed estrazione del dato/documento, ha chiarito che tali costi non possono essere posti interamente a carico dei richiedenti, neppure in base all’art. 25 della L. n. 241/90, che prevede la possibilità di imporre “diritti di ricerca” (da aggiungersi ai costi di riproduzione), ma intendendoli al più come compartecipazione alle spese, e non come prestazione di servizi a carattere commerciale (alla cui logica, peraltro, sembra ispirarsi il provvedimento impugnato, assoggettando a IVA la prestazione).
A sostegno di tale orientamento, il TAR Piemonte ha altresì invocato l’iter parlamentare che ha portato all’approvazione del d.lgs. n. 97/2016, rilevando che, mentre l’iniziale schema di decreto sul punto (art. 6) subordinava il rilascio di dati in formato elettronico o cartaceo “al rimborso del costo sostenuto dall’amministrazione”, il testo finale approvato fa riferimento al più restrittivo concetto di “costo effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la riproduzione su supporti materiali”.
Pertanto, secondo il Tar Piemonte, in virtù “di una interpretazione non solo letterale della norma ma anche logico-evolutiva, è ragionevole sostenere che corrisponda alla voluntas legis l’esclusione dei costi del personale impiegato nella gestione delle pratiche di accesso civico, inclusi quelli relativi all’attività di estrazione dei dati e dei documenti dai relativi archivi, facendo gli stessi carico alla fiscalità generale. Ciò vale, in linea di principio per tutte le forme di accesso, come peraltro ribadito dalla più recente giurisprudenza”.
Questa pronuncia si pone in linea di continuità con altri precedenti sul tema. Tra questi, si può richiamare il Tar Toscana (sez. I, 26 aprile 2019, n. 615) secondo cui “la garanzia del diritto di accesso costituisce un vero e proprio compito che la legge pone a carico delle amministrazioni a garanzia della trasparenza che è valore pubblico ancor prima di tradursi in diritto individuale”, cosicché “gli oneri conseguenti all'esercizio di tale diritto, per la parte che eccede il mero costo di riproduzione, vanno finanziati attraverso la fiscalità (al pari di quanto avviene per gli altri diritti correlati al funzionamento del meccanismo democratico come quello di voto) senza che sia consentito trasferirli sul cittadino istituendo una vera e propria tassa extra ordinem”.